Tv/Radio “L'Aspra Stagione”: il '77 di Carlo Rivolta raccontato da Tommaso de Lorenzis e Mauro Favale La storia quasi sconosciuta di Carlo Rivolta (1949-1982), dal Movimento all'eroina, dai suoi articoli su Repubblica e Lotta Continua. Tommaso de Lorenzis e Mauro Favale, entrambi lecc... 23/07/2012 a cura della redazione circa 4 minuti La storia quasi sconosciuta di Carlo Rivolta (1949-1982), dal Movimento all'eroina, dai suoi articoli su Repubblica e Lotta Continua. Tommaso de Lorenzis e Mauro Favale, entrambi leccesi, scrittore e agente letterario il primo, giornalista il secondo, hanno scritto un libro, il loro primo romanzo, che non è un semplice romanzo e non è una semplice biografia, è il racconto di un’epoca, di un modo di fare giornalismo, la testimonianza di un movimento e della sua fine, la cronaca della nascita del fenomeno triste del terrorismo e di quello ancora più triste dell’eroina. È un libro travolgente, scritto con un ritmo serrato costruito in modo eccellente, che ricostruisce la storia di Carlo Rivolta, cronista d’eccezione, giornalista de La repubblica e di Lotta Continua, morto giovanissimo di eroina. Non un’icona dunque ma una voce che ha raccontato in modo incredibile dieci anni di storia del nostro assurdo Paese. Abbiamo rivolto alcune domande a Tommaso De Lorenzis. Carlo Rivolta non è uno dei, definiamoli così, volti noti del giornalismo, un po’ perché è morto trent’anni fa, un po’ perché forse è legato a un periodo della storia italiana e soprattutto, a mio avviso, a un modo di fare giornalismo che oggi non godono di grande popolarità. Da dove viene l’idea di scrivere un libro su di lui? Per più di un trentennio, Carlo Rivolta è stato ricordato solo ed esclusivamente in occasione degli anniversari tondi di quel '77 di cui fu narratore partecipe e acuto. Il problema è che questo tipo di commemorazione – liturgica e d'occasione – ha finito per elidere tutto il resto. Nei quattro anni successivi agli eventi epocali del “doppio 7”, Rivolta è rimasto una delle penne di punta de «la Repubblica». È sua la firma che campeggia in prima pagina il giorno del rapimento di Aldo Moro. È lui a seguire il terremoto in Irpinia e l'agonia di Alfredino Rampi nel pozzo di Vermicino. Ed è sempre Rivolta a documentare con innegabile lungimiranza la diffusione dell'eroina, l'innalzamento dello scontro promosso dal Partito armato e la tragica spirale che determina la morte del movimento. Quando ci siamo imbattuti nella storia di questo cronista d'eccezione, che aveva testimoniato i grandi fatti di un'età di mezzo, narrando – al contempo – i processi che stavano ridisegnando la società italiana, non abbiamo avuto esitazioni. Cercavamo un punto di vista, una prospettiva che si aprisse sulla genesi dell'oggi, sull'inizio di quello che chiamiamo l'«eterno presente» made in Italy. Leggendo gli articoli di Carlo, abbiamo capito di averla trovata, quella prospettiva. Se dovessi tratteggiare in due righe la figura di Carlo Rivolta, come lo descriveresti? Un carattere «romantico», come lo definisce Emanuela Forti, la compagna di Carlo. Oppure una figura associabile a Heathcliff di Cime tempestose, come dice Francesca Comencini, la donna con cui Rivolta ha condiviso l'ultima parte della sua vita. C’è una domanda che fa lo stesso Rivolta in un suo articolo che mi ha restituito tutto il senso della sua vita, segnata in modo fortissimo dalla fine del movimento, la domanda su come riempie il tempo un “orfano” dell’impegno politico. In molti casi l’eroina sembra purtroppo essere stata la risposta. Sì. L'eroina non è solo la merce perfetta, la merce che non crea crisi di sovrapproduzione – dunque il sogno rimosso e l'oscuro oggetto del desiderio del capitale –, essa è anche una merce “politica”, perché – nella sua quintessenziale afasia – rompe relazioni e frantuma legami. Negli anni Settanta la polvere d'oppio è anche stata la chiave che ha reso possibile la scalata al cielo criminale della Capitale, compiuta da un gruppo di ragazzi di Trastevere, Testaccio e della Magliana. L'unificazione del comando illegale, a Roma, in quel periodo, passa proprio per il controllo del mercato dell'eroina. Rivolta è stato un narratore unico di questi processi. Fu tra i primi a intuire l'affermazione di una malavita nuova e strutturata, e a documentare gli effetti della tossicomania, vertice di un vero e proprio triangolo della morte completato dalla lotta armata e dalla logica inquisitoria della grande Emergenza. Per capire la preveggenza di Carlo, basta ricordare che i primi articoli scritti sul traffico di eroina e sulla condizione degli eroinomani risalgono ai mesi iniziali del '76: cioè a un periodo in cui era davvero difficile pronosticare le proporzioni future e gli esiti devastanti del fenomeno. Ultima domanda: che giornalista sarebbe oggi Carlo rivolta se fosse vivo? Assomiglierebbe di più a un Guzzanti, un Liguori, una Annunziata o più a un Deaglio? È la domanda più difficile, un tragico gioco sull'eventuale che abbiamo fatto spesso. Mi piacerebbe rispondere che assomiglierebbe a Enrico Deaglio, che – tra il 1981 e il 1982 – fu il suo ultimo direttore ai tempi del quotidiano «Lotta continua», quando Rivolta aveva lasciato «Repubblica». Magari a Deaglio l'avrebbe unito – oltre all'amicizia e alla sensibilità giornalistica – il modo narrativo, policentrico, cinematografico di scrivere la Storia e restituire il passato. Lilli Chidichimo, la madre di Carlo, prospettava scenari differenti, alludendo alla drammatica eventualità di una militanza berlusconiana. Il punto è che Carlo Rivolta non poteva sopravvivere alla fine di quella stagione. Nella figura dell'eroe romantico, e quindi tragico, è inscritto il martirio, il soccombere innanzi a un destino avverso. Questa condizione di ineluttabilità, che fa de L'aspra stagione un libro nero, è la premessa vincolante per poter esercitare l'immaginazione ucronica. In altre parole: per dire cosa sarebbe stato Rivolta oggi, bisogna pensare a un'Italia radicalmente diversa, nella quale non ci sarebbe spazio per le associazioni e le somiglianze che indicavi. Dario Goffredo
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