Salute e Benessere 

Come guarire dalla "sindrome della Crocerossina”

Tra le dipendenze affettive, quella alla base della cosiddetta Sindrome da Crocerossina è una delle più ostiche. Apparentemente chi ne soffre sembra molto forte, ma sotto sotto... &ld...

Tra le dipendenze affettive, quella alla base della cosiddetta Sindrome da Crocerossina è una delle più ostiche. Apparentemente chi ne soffre sembra molto forte, ma sotto sotto... “Nessuno può amarci abbastanza da renderci felici se non amiamo davvero noi stesse, perchè quando nel nostro vuoto andiamo cercando l’amore, possiamo trovare solo altro vuoto.” (Robin Norwood - Donne che Amano Troppo)   Già nel precedente articolo ho affrontato il tema delle dipendenze affettive al fine di mettere in rilievo la problematicità di molti rapporti di coppia. Con la Sindrome da Crocerossina vorrei rinnovare la nostra riflessione sulle patologie dell’approccio di molti nelle relazioni sentimentali. Quante donne si legano a dei compagni problematici con la convinzione di poterli salvare? Quante sono ossessionate dall’idea di mettere in salvo il partner ad ogni costo e soprattutto a costo della propria felicità? Questa donna, per dar sfogo alle sue peculiarità ha sempre e necessariamente bisogno di qualcuno da curare, accudire e a cui immolarsi. Qualcuno con problemi psicologici (con il vizio di bere, assumere stupefacenti o giocare d’azzardo, ad esempio). La crocerossina trascura se stessa perché tutte le sue energie sono impegnate nei confronti altrui, e quando l’“ammalato” sta meglio o addirittura guarisce, allora scoppia il dramma. Il pericolo è che la crocerossina non sappia più verso cui investire il suo tempo e le sue risorse; peggio che mai, potrebbe venire abbandonata! Allora la crocerossina, pensando di non aver fatto abbastanza per essere amata e apprezzata, impiega le sue forze dieci volte di più per accudire l’altro ed evitare di essere abbandonata, oppure è costretta a rivolgere tutte le sue attenzioni ad un altro “paziente”. In un modo o nell’altro, la relazione si conclude perché la donna in questione non può assolutamente permettersi di perdere il suo ruolo.L’estremo investimento di energie e tempo e il proprio trascurarsi, non è altro che necessità di riempire il vuoto che è stato lasciato a queste donne durante l’età infantile e/o adolescenziale da figure familiari inadeguate che richiedevano, in un modo o nell’altro di essere accudite, anziché accudire. Peccato che le strategie della crocerossina non portino altro che all’esaurimento, fisico e mentale, alla frustrazione e alla decadenza totale dell’autostima. In una coppia normale questo stato porta alla distruzione della relazione, mentre si consolida nelle “coppie disfunzionali” in cui si radica una tendenza ad alimentare una forma di equilibrio paradossale fondato sul malessere sia di un solo partner che di entrambi. Essere uno nell’altro presuppone la perdita della propria identità, l’esperienza più distruttiva per l’essere umano, il modo di amare è ossessivo e tende a lasciare sempre minori spazi personali, è parassitario e basato su continue richieste di assoluta devozione e di rinuncia da parte dell’amato, è caratterizzato dalla stagnazione e dall’autoassorbimento, ossia da una tendenza a ripiegarsi su sé stesso e a chiudersi alle esperienze esterne per paura del cambiamento in nome di un amore che occupa il primo posto nella propria vita. Il principale problema nella risoluzione delle dipendenze affettive è certamente l’ammissione di avere un problema. Spesso, paradossalmente, è la “speranza” che fa sopravvivere il problema e che al tempo stesso tende a cronicizzarlo: la speranza in un cambiamento impossibile, soprattutto in un contesto relazionale in cui si sono consolidati, e persino pietrificati, dei ruoli e dei copioni da cui è più o meno, impossibile uscire. Così, paradossalmente, l’inizio del cambiamento arriva quando si raggiunge il fondo e si sperimenta la disperazione, che rappresenta la possibilità di sotterrare le illusioni che hanno nutrito a lungo il rapporto patologico. Attenzione: in maniera ciclica potremmo optare per una nuova dipendenza perché il vuoto che si sperimenta nella chiusura di una storia fa paura! Alleniamoci invece a dipendere da noi stessi, dai nostri interessi, vivendo una forma di “sano egoismo”. Dott.ssa Tessa Montinaro Psicologa/Psicoterapeuta  

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