Salute Sette Lecce Immunoterapia, la nuova frontiera della battaglia contro il cancro: la scoperta all’Humanitas Uno studio di Humanitas sostenuto da AIRC rivela nuove caratteristiche dei linfociti T nei tumori del polmone che, addormentati dalla malattia, sono un potenziale bersaglio dell’immunoterapia. S... 18/09/2018 a cura della redazione circa 5 minuti Uno studio di Humanitas sostenuto da AIRC rivela nuove caratteristiche dei linfociti T nei tumori del polmone che, addormentati dalla malattia, sono un potenziale bersaglio dell’immunoterapia. Si tratta di un primo importante passo per generare in laboratorio cellule T armate in grado di migliorare la risposta ai tumori. Negli ultimi anni l’immunoterapia (definita anche terapia biologica o bioterapica) è stata in grado di riaccendere le speranza nella lotta contro forme anche molto gravi di cancro. Oggi parliamo di un trattamento che utilizza il sistema immunitario del paziente stesso per combattere il cancro e dei risultati di una nuova ricerca in questo campo. Dal 2016 si è aperta una frontiera interessantissima. Le cellule tumorali non sono altro che cellule “impazzite”: il sistema che le “corregge” non funziona più. In questi anni si è studiato proprio questo meccanismo: come fa il tumore ad addormentare il sistema immunitario e come risvegliarlo. L’immunoterapia e in fase di sperimentazione da decenni: viene utilizzata in concomitanza con altre terapie classiche (chemioterapia e radioterapia). Si è registrato anche un caso di guarigione di un bambino da leucemia linfoblastica che ha acceso le speranze sull’uso di questa innovativa terapia. Le tecniche immunoterapiche agiscono per avere la meglio sulle cellule neoplastiche stimolando direttamente il sistema immunitario (risvegliarlo per riconoscere e distruggere le cellule cancerose) e introducendo in questo sistema delle molecole (proteine) che potenzino le difese del paziente. Il tipo d’immunoterapia da attuare dipende da caso a caso: a volte si rinforza il sistema immunitario, altre volte vengono fornite le armi per avversare le cellule tumorali. Quante volte funziona l’immunoterapia? La percentuale di successo dell’immunoterapia oncologica, secondo i dati in possesso l’anno scorso (2017), crea effetti positivi su circa il 50 per cento dei pazienti: ora bisogna capire come far crescere le percentuali. L’immunoterapia funziona specialmente con il tumore al polmone, melanoma, tumori del distretto testa-collo, rene, mesotelio e prostata. La medicina sta puntando tantissimo su questa nuova frontiera proprio per eliminare gli effetti collaterali delle terapie tradizionali come la chemioterapia, che spesso salva la vita, ma che ha effetti pesanti sul corpo. Il sistema immunitario può dare le risposte definitive che la scienza stava aspettando da decenni: un ingranaggio complesso di cellule speciali che difendono il nostro organismo dalle minacce esterne e interne, se stimolato, può cambiare le cose. Le cellule immunitarie, e in particolare i linfociti (globuli bianchi del sangue), con le sostanze prodotte viaggiano nel corpo per difenderlo dagli attacchi di germi patogeni, ma sono anche in grado di difendersi dalle cellule tumorali. Il nostro sistema immunitario riconosce il nemico e le difese innescano un processo infiammatorio per rendere inospitale l’area dove avanza qualcosa di sconosciuto. Nel tumore in fase iniziale si genera una cellula alterata, che si moltiplica e forma la pericolosa massa capace di diffondersi velocemente. E’ proprio questo il meccanismo da bloccare: il sistema immunitario deve accorgersi ed eliminare le cellule cancerogene in quel momento. A questo mira l’immunoterapia. Il sistema immunitario non dev’essere più “ingannato” da queste cellule: deve riconoscerle e intervenire. La ricerca targata Humanitas: un altro passo avanti nello studio dei tumori Perché l’immunoterapia risveglia solo alcuni tipi di cellule del sistema immunitario che vengono come narcotizzate dal tumore? Quali sono le caratteristiche delle cellule T che vengono riattivate da queste terapie? A queste domande risponde, per la prima volta, lo studio con i risultati pubblicati sulla prestigiosa rivista The Journal of Experimental Medicine, frutto di una collaborazione tra il Laboratorio di Immunologia Traslazionale di Humanitas, di cui Enrico Lugli è Principal Investigator, e la Sezione di Chirurgia Robotica Toracica di Humanitas guidata da Giulia Veronesi. Primi autori dello studio, l’immunologa Jolanda Brummelman (sostenuta da una borsa triennale AIRC) e la bioinformatica Emilia Mazza(sostenuta da una borsa postdoc della Fondazione Veronesi). Lo studio è stato in parte sostenuto da AIRC. L’immunoterapia con anticorpi che bloccano i checkpoint immunitari, come anti-PD-1/PD-L1, ha recentemente rivoluzionato la storia clinica di diversi tipi di tumore, fra cui alcuni tipi di cancro al polmone, consentendo di aumentare la sopravvivenza dei pazienti. I cosiddetti checkpoint sono freni naturali del nostro sistema immunitario: il nostro apparato di difesa è un po’ come una straordinaria automobile, capace di viaggiare ad elevata velocità. Per funzionare bene e non andare fuori strada ha bisogno di acceleratori, che la facciano partire e correre, ma anche di freni (i checkpoint, appunto), che le consentano di rallentare e, quando è il caso, fermarsi. L’immunoterapia agisce togliendo questi freni e risvegliando particolari cellule immunitarie, i linfociti T, che all’interno del tumore sono come narcotizzati dalla malattia. “Nello studio - spiega Enrico Lugli - abbiamo preso in esame 53 pazienti con tumore al polmone non a piccole cellule (NSCLC), a uno stadio operabile e quindi sottoposti ad intervento chirurgico. Utilizzando una tecnologia particolarmente innovativa - lacitometria a flusso a 30 parametri - siamo stati in grado di definire con notevole precisione le proprietà immunitarie delle cellule T che esprimono il checkpoint PD-1”. La citometria, che in Humanitas è utilizzata con le tecnologie più avanzate, permette di conteggiare, separare e riconoscere singole cellule sulla base di specifici marcatori. L'analisi di più parametri, fisici, fenotipici e funzionali, può avvenire simultaneamente per decine di migliaia di cellule al secondo. La citometria viene inoltre largamente utilizzata per la più precisa diagnosi di alcune malattie, come i tumori. Il particolare citofluorimetro presente in Humanitas permette di fare ricerca di base e traslazionale ad altissimi livelli, analizzando 30 parametri di ogni singola cellula. “Abbiamo dimostrato – spiega ancora Lugli – che queste cellule non sono tutte uguali, ma sono organizzate in gerarchia: le più giovani, identificate dal recettore di membrana CXCR5, rimangono funzionali e sono potenzialmente in grado di esercitare una potente attività anti-tumorale mentre le più differenziate (le più anziane) perdono tale capacità. L’ipotesi, quindi, è che con l’immunoterapia vengano risvegliate soprattutto le cellule giovani. Per il futuro, la sfida è identificare i segnali molecolari alla base della generazione e del mantenimento di queste cellule, così da utilizzare tali informazioni per generare in laboratorio cellule T armate in grado di migliorare la risposta ai tumori”. Gaetano Gorgoni
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