Salute Sette Lecce 

Denatalità allarmante, il Ministero della Sanità: "Mamme troppo anziane"

Il Ministero della Sanità, nel 2001, ha istituito un’importante fonte di informazione sanitaria, epidemiologica e socio-demografica relativa alle nascite: si tratta del “Rapporto an...

Il Ministero della Sanità, nel 2001, ha istituito un’importante fonte di informazione sanitaria, epidemiologica e socio-demografica relativa alle nascite: si tratta del “Rapporto annuale sull’evento della nascita in Italia”. Oggi ci concentriamo sul CeDAP 2016, perché ieri sono stati pubblicati i dati relativi a tre anni fa: è molto importante conoscerli perché ci spiegano cosa sta accadendo e qual è il trend. Le neo mamme sono più in là con gli anni, anche nel Salento, e la chirurgia è ancora molto ricorrente rispetto al parto naturale. Ma a Lecce si tende a diminuirla. Il ginecologo Barba: “Denatalità allarmante e mamme troppo anziane”.  Cominciamo col dire che i dati pubblicati dal Ministero della Salute, con un totale di 467 punti nascita, presentano un elevato livello di correttezza e completezza. Nell’anno di riferimento di questa rilevazione l’89,2% dei parti è avvenuto negli Istituti di cura pubblici ed equiparati, il 10,5% nelle case di cura e solo lo 0,1% altrove (altra struttura di assistenza, domicilio e altro). In alcune regioni del nord le donne si rivolgono di più alle cliniche private: questo accade dove c’è una prevalenza del privato. In Puglia le donne si fidano di più dei grandi ospedali pubblici: 63,9% dei parti si svolge in strutture dove avvengono almeno 1.000 parti annui (questo succede in tutta Italia). Tali strutture, in numero di 173 rappresentano il 37% dei punti nascita totali. Il 5,8% dei parti ha luogo invece in strutture che accolgono meno di 500 parti annui. Ma sappiamo bene che nel Salento ormai questo tipo di strutture sono fuori gioco. Persino ospedali come Casarano, che avevano un bacino che superava i 500 parti l’anno, è stato dismesso. Si punta su strutture complete e operative al massimo livello. “Si conferma il ricorso eccessivo all’espletamento del parto per via chirurgica - spiega il rapporto - In media, nel 2016, il 33,7% dei parti è avvenuto con taglio cesareo, con notevoli differenze regionali che comunque evidenziano che in Italia vi è un ricorso eccessivo all’espletamento del parto per via chirurgica. Rispetto al luogo del parto si registra un’elevata propensione all’uso del taglio cesareo nelle case di cura accreditate, in cui si registra tale procedura in circa il 50,9% dei parti contro il 31,7% negli ospedali pubblici. Il parto cesareo è più frequente nelle donne con cittadinanza italiana rispetto alle donne straniere: si ricorre al taglio cesareo nel 27,8% dei parti di madri straniere e nel 35,4% dei parti di madri italiane”.  DENATALITÀ E AUMENTO DELL’ETÀ DELLE NEO-MAMME  Non è una novità che oggi si facciano i figli più tardi e che se ne facciano molti di meno. Però è importante il dato scientifico che registra ulteriori cali e un ulteriore invecchiamento delle mamme italiane. Le mamme straniere che sono in Italia, invece, fanno molti più figli: nel 2016, il 21% dei parti è relativo a madri di cittadinanza non italiana. “Tale fenomeno è più diffuso nelle aree del Paese con maggiore presenza straniera, ovvero al Centro-Nord, dove più del 25% dei parti avviene da madri non italiane; in particolare, in Emilia Romagna e Lombardia, il 32% delle nascite è riferito a madri straniere - ci spiegano gli autori dello studio - Le aree geografiche di provenienza più rappresentate, sono quella dell’Africa (25,9%) e dell’Unione Europea (25,4%). Le madri di origine asiatica e sudamericana costituiscono rispettivamente il 18,6 % ed il 7,6% delle madri straniere.  Dietro a questo fenomeno c’è un motivo chiaro: le donne non riescono a conciliare carriera e figli, perché siamo in un paese per vecchi, che dà servizi scarsi, ma soprattutto c’è la piaga del precariato e della disoccupazione che fa allontanare negli anni o eliminare l’idea di diventare madri. È una vera e propria piaga sociale a cui la politica degli annunci per anni non ha posto rimedio. Ecco perché oggi l’età media della madre si è spostata a 32,8 anni per le italiane mentre scende a 30,2 anni per le cittadine straniere. I valori mediani sono invece di 33 anni per le italiane e 30 anni per le straniere. L’età media al primo figlio è per le donne italiane, quasi in tutte le Regioni, superiore a 31 anni, con variazioni sensibili tra le regioni del Nord e quelle del Sud. Le donne straniere partoriscono il primo figlio in media a 28,3 anni”. IL COMMENTO DEL GINECOLOGO BRUNO BARBA Il ginecologo Bruno Barba, operativo nella Casa di Cura Salus e nel Poliambulatorio di Maria Luisa e Ruggiero Calabrese commenta i dati ministeriali con una certa amarezza:  “Il problema dell’invecchiamento delle neo-mamme è un problema sociale con conseguenze importanti dal punto di vista clinico, oltre al fatto che siamo al primo posto per denatalità. Più l’età è avanzata più c’è possibilità di una patologia durante la gravidanza. Anche nel caso della gestosi, fare figli troppo tardi è un fattore di rischio. Se non ci fossero tante immigrate, i numeri dei parti sarebbe ancora più basso. Il ginecologo si esprime anche sul ricorso massiccio alla chirurgia: “Un po’ dappertutto siamo stati sollecitati a ridurre i parti cesarei. Si fa spesso ricorso alla chirurgia per evitare guai. Siccome fioccano le denunce, spesso si preferisce fare il cesareo. Ma bisogna saper valutare. Se si può fare un parto naturale, è molto meglio”.  GLI ALTRI DATI DEL RAPPORTO CeDAP Delle donne che hanno partorito nell’anno 2016 il 44,2% ha una scolarità medio alta, il 28 % medio bassa ed il 27,8% ha conseguito la laurea. Fra le straniere prevale invece una scolarità mediobassa (45,9%). L’analisi della condizione professionale evidenzia che il 55,3% delle madri ha un’occupazione lavorativa, il 29,3% sono casalinghe ed il 13,3% sono disoccupate o in cerca di prima occupazione. La condizione professionale delle straniere che hanno partorito nel 2016 è per il 51,7% quella di casalinga a fronte del 62,2% delle donne italiane che hanno invece un’occupazione lavorativa. Nell’85,3% delle gravidanze il numero di visite ostetriche effettuate è superiore a 4 mentre nel 74,6% delle gravidanze si effettuano più di 3 ecografie. La percentuale di donne italiane che effettuano la prima visita oltre il primo trimestre di gravidanza è pari al 2,5% mentre tale percentuale sale al 11,2% per le donne straniere. Le donne con scolarità medio-bassa effettuano la prima visita più tardivamente: la percentuale di donne con titolo di studio elementare o senza nessun titolo che effettuano la prima visita dopo l’11° settimana di gestazione è pari al 11,7% mentre per le donne con scolarità alta, la percentuale è del 2,6%. Anche la giovane età della donna, in particolare nelle madri al di sotto dei 20 anni, risulta associata ad un maggior rischio di controlli assenti (3,3%) o tardivi (1° visita effettuata oltre l’undicesima settimana di gestazione nel 13,8% dei casi). Nell’ambito delle tecniche diagnostiche prenatali invasive sono state effettuate in media 7,1 amniocentesi ogni 100 parti. A livello nazionale alle madri con più di 40 anni il prelievo del liquido amniotico è stato effettuato nel 22,52% dei casi. L’1% dei nati ha un peso inferiore a 1.500 grammi ed il 6,4% tra 1.500 e 2.500 grammi. Nei test di valutazione della vitalità del neonato tramite indice di Apgar, il 99,4% dei nati ha riportato un punteggio a 5 minuti dalla nascita compreso tra 7 e 10. Sono stati rilevati 1.320 nati morti corrispondenti ad un tasso di natimortalità, pari a 2,78 nati morti ogni 1.000 nati, e registrati 4.835 casi di malformazioni diagnostiche alla nascita. L’indicazione della diagnosi è presente rispettivamente solo nel 32,3% dei casi di natimortalità e nel 87% di nati con malformazioni. Il ricorso ad una tecnica di procreazione medicalmente assistita (PMA) risulta effettuato in media 1,93 gravidanze ogni 100. La tecnica più utilizzata è stata la fecondazione in vitro con successivo trasferimento di embrioni nell’utero (FIVET), seguita dal metodo di fecondazione in vitro tramite iniezione di spermatozoo in citoplasma (ICSI). I parti classificabili secondo Robson sono complessivamente pari a livello nazionale a 450.400, corrispondenti al 97% del totale dei parti avvenuti nei punti nascita pubblici, equiparati e privati accreditati. Le classi più rappresentate sono quelle delle madri primipare a termine, con presentazione cefalica (classe 1) e delle madri pluripare a termine, con presentazione cefalica e che non hanno avuto cesarei precedenti (classe 3); queste due classi corrispondono complessivamente a circa il 54,2% dei parti classificati che si sono verificati a livello nazionale nell’anno 2016. Si evidenzia inoltre che i parti nella classe 5, relativa alle madri con pregresso parto cesareo, rappresentano il 12,6% dei parti totali classificati a livello nazionale. L’analisi del ricorso al taglio cesareo nelle classi di Robson evidenzia un’ampia variabilità regionale nelle classi a minor rischio, che includono in tutte le Regioni una percentuale molto elevata delle nascite, confermando la possibilità di significativi miglioramenti delle prassi organizzative e cliniche adottate nelle diverse realtà.  Gaetano Gorgoni

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