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Bambini e covid, lo studio: contagio molto difficile con le lacrime dei bambini

Il nuovo studio del Bambino Gesù, pubblicato sulla rivista scientifica Journal of American Association for Pediatric Ophthalmology and Strabismus, svela che il rischio di contagio attraverso le lacrime dei bambini esiste, ma è molto basso.

Gli scienziati continuano a studiare il SARS-CoV-2 e la sua capacità di trasferirsi nell’organismo umano. Ci sono tante domande alle quali dare una risposta: il virus si è indebolito? Gli asintomatici in quali casi possono avere la stessa carica virale dei sintomatici? Ci si può contagiare con le lacrime? A quest’ultima domanda ha risposto uno studio, pubblicato sul Journal of American Association for Pediatric Ophthalmology and Strabismus: è il primo approfondimento scientifico di oftalmologia pediatrica sul Coronavirus. Anche in questo caso i protagonisti della prima pubblicazione internazionale in campo oftalmologico dedicata al Coronavirus in età pediatrica sono gli scienziati del Bambin Gesù.

 
Il nuovo studio del Bambino Gesù, pubblicato sulla rivista scientifica Journal of American Association for Pediatric Ophthalmology and Strabismus, ci svela che il rischio di contagio attraverso le lacrime dei bambini esiste, ma è molto basso. La ricerca è stata condotta tra marzo e aprile nei bambini ricoverati presso il Centro Covid di Palidoro. 

La possibilità che un bambino positivo al Covid-19 infetti un’altra persona, direttamente o indirettamente, attraverso le lacrime è particolarmente bassa. Lo studio dell’Ospedale della Santa Sede ha coinvolto 27 bambini, tutti positivi al tampone naso-faringeo.  Di questi, solo 3 (pari all’11% del campione) presentavano tracce del virus nelle secrezioni oculari, rilevato tramite un tampone congiuntivale. Inoltre, rilevano i ricercatori, il virus sopravvive molto di più nelle cavità nasofaringee (naso e bocca) che nelle secrezioni oculari. I bambini durante la fase del lockdown sono stati considerati una “pericolosa minaccia” per i nonni, che spesso hanno un sistema immunitario più debole, quindi in questi mesi sono sorte tante domande sulla loro capacità di infettare gli adulti. Diversi virologi, sulla base di recenti studi, affermano che i più piccoli non siano da considerare “untori”, come avviene per l’influenza, perché la loro carica virale, se positivi al covid, potrebbe non essere sufficiente a infettare un adulto. 

Sempre in campo pediatrico, anche l’incidenza di patologie oculari potenzialmente legate alla presenza del coronavirus, come la congiuntivite, si è dimostrata molto bassa. Su 27 bambini, infatti, solo 4 hanno sviluppato questa infezione e il decorso della malattia, come per il resto dei sintomi, è stato particolarmente benigno e rapido.



BAMBINI E COVID 



Sono ormai tanti gli studi che documentano la resistenza del sistema immunitario dei bambini al SARS-CoV-2: se non si tratta di piccoli con comorbidità o immunodepressi, in genere, sono meno colpiti dalla malattia. Quindi un bambino sviluppa spesso una forma asintomatica di covid. In singoli casi possono incappare in una sindrome simil-Kawasaki (ne abbiamo parlato in precedenti servizi) ma è anche vero che possono diffondere la malattia, probabilmente a livelli ridotti. Secondo il virologo Guido Silvestri, docente negli Usa alla Emory University di Atlanta, “i bambini sono colpiti pochissimo dalla malattia severa” e la loro salute sembra che sia stata messa più a rischio dalle chiusure. Alcuni esperti si sono chiesti come mai in Italia sia possibile andare allo stadio e non far tornare i bambini a scuola almeno per un mese. Ma ormai è andata così. I risultati di numerosi studi chiariscono che i bambini sono meno colpiti: pari al 3% di tutti i casi segnalati a livello globale. Generalmente i  più piccoli sviluppano una lieve malattia e poi guariscono: gli studi sulla trasmissione domestica documentano in misura molto minore il contagio da bambini ad adulti e attualmente non  si riscontra questa tendenza nell'epidemiologia. Sicuramente ci sarà bisogno di un numero maggiore di casi clinici per capire quale ruolo svolgano i bambini nella trasmissione della malattia”. 


Gaetano Gorgoni 



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