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Sindrome di Kawasaki e Covid, l'esperta: «Nessuna evidenza scientifica»

Da alcuni giorni i pediatri segnalano un aumento di alcune malattie infiammatorie. Qualcuno si è spinto fino al punto di ipotizzare che il virus SARS-CoV-2 possa causare la vasculite

Esiste un collegamento tra Covid-19 e sindrome di Kawasaki? Da alcuni giorni i pediatri segnalano un aumento di alcune malattie infiammatorie. Qualcuno si è spinto fino al punto di ipotizzare che il virus SARS-CoV-2 possa causare la vasculite (processo infiammatorio a carico dei vasi sanguigni, spesso con ischemia, necrosi e infiammazione degli organi). La dottoressa Alessandra Marchesi, del reparto di Pediatria e Malattie infettive dell’ospedale Bambino Gesù invita alla prudenza e ci dà una notizia: “La sindrome di Kawasaki non è più una malattia rara. Prima non veniva diagnosticata. Stiamo cercando di capire perché sono stati diagnosticati tanti casi a Bergamo, ma non ci sono evidenze scientifiche sull’eventuale correlazione con la malattia covid-19”. 

La sindrome di Kawasaki presenta dei sintomi tipici (febbre, eruzione cutanea, lingua rosso fragola e, in alcuni casi, complicanze cardiache) che possono, anche se raramente, essere letali.

La diagnosi si può fare sulla base di sintomi e criteri stabiliti. Se la malattia viene affrontata in tempo, i piccoli possono riprendersi e risolvere i loro problemi. Le principali armi contro questo male dalle cause ancora sconosciute sono immunoglobulina e aspirina.

La sindrome di Kawasaki provoca un’infiammazione nelle pareti dei vasi sanguigni di tutto l’organismo: l’ipotesi è che un virus o un altro organismo infettivo inneschi una risposta anomala del sistema immunitario nei bambini geneticamente predisposti. Il problema è che l’infiammazione interessa i vasi del cuore, diffondersi in altre parti del corpo, raggiungendo pancreas e reni. I piccoli con sindrome di Kawasaki, nella fascia d’età tra 1 e 8 anni, ma anche neonati e adolescenti, rischiano la compromissione di organi importanti. I bambini maschi sono più colpiti delle femmine. I medici inglesi hanno lanciato di recente l’allarme sull’aumento delle vasculiti e delle sindromi infiammatorie che stanno interessando i più piccoli, paventando un collegamento con il coronavirus.

Nell’ospedale “Papa Giovanni XXIII” di Bergamo sono aumentati in maniera anomala i ricoveri di bambini con sindrome di Kawasaki: hanno febbre alta, rash cutaneo simile a quello del morbillo, congiuntiviti, edemi alle mani e ai piedi e risultano positivi al SARS-CoV-2. 

INTERVISTA ALLA DOTTORESSA ALESSANDRA MARCHESI, OPERATIVA NEL REPARTO MALATTIE INFETTIVE DELL’OSPEDALE PEDIATRICO BAMBIN GESÙ 


Dottoressa, ora che abbiamo scoperto che le vasculi sono tipiche del covid-19, possiamo ipotizzare che ci sia un nesso tra i tanti casi di sindrome di Kawasaki segnalati e covid-19? 

“Innanzitutto dobbiamo puntualizzare che la sindrome di Kawasaki non è più una malattia rara, come veniva considerata prima. In realtà, essendo ormai conosciuta, i medici fanno le diagnosi giuste. Diciamo che finalmente viene diagnosticata in tutti i casi”. 

Quindi prima era più difficile diagnosticarla, perché era meno conosciuta? 

“Probabilmente era questo il motivo. Ultimamente si è verificato un amento del numero dei casi: già nel 2018, quando hanno modificato il LEA (livelli essenziali di assistenza) la malattia di Kawasaki è stata eliminata dall’elenco di quelle rare. La sindrome di Kawasaki è una vasculite, il coronavirus è vero che dà delle vasculiti, le manifestazioni sono evidenti nei bambini osservati, ma pensare che il virus SARS-CoV-2 sia la causa è un po’ azzardato”. 

Quindi, per non dare informazioni sbagliate ai nostri lettori, dobbiamo dire che mancano le evidenze scientifiche, vero?

“Certamente. Alla luce di un aumento di incidenza, soprattutto nelle zone più colpite, come ad esempio Bergamo, bisogna tenere sotto osservazione e continuare a monitorare quei casi: la ricerca continua. Il gruppo di studio di Reumatologia della Società italiana di Pediatria, che è la nostra società scientifica, ha già inviato un segnale di allerta ai colleghi che si occupano di Kawasaki perché vengano segnalati i casi atipici e gli eventuali aumenti di casi resistenti o che richiedono un supporto in terapia intensiva. Sicuramente il dato che viene da Bergamo è da tenere in considerazione, ma non si può dire che il coronavirus determini un aumento della Kawasaki finché non ci saranno evidenze scientifiche”. 

È vero che allo stato attuale non siamo riusciti ancora a capire le vere cause della sindrome di Kawasaki?

“Esatto. E proprio questo il problema”. 

Quali sono le ipotesi? 

“Noi supponiamo che ci sia una componente genetica che determina una disregolazione nella risposta immunitaria a un qualche trigger infettivo (la risposta quando c’è un’ infezione ndr). Il Coronavirus potrebbe essere una concausa, ma è tutto da dimostrare.  Il trigger infettivo (la causa, ovvero l’avvio della malattia ndr), soprattutto virale, è l’ipotesi ormai cavalcata da molto tempo. I virus finora scelti e studiati non sono stati effettivamente collegati alla Kawasaki (non è stato dimostrato che siano questi virus a causare la sindrome). Ormai laboratori di tutto il mondo che si occupano di Kawasaki stanno studiando il meccanismo che ci potrebbe essere alla base, più che concentrarsi sul singolo virus. Probabilmente c’è questa questa disregolazione, geneticamente determinata, nella risposta a un agente infettivo”. 

Attualmente come viene curata la sindrome di Kawasaki?

“La terapia delle malattie di Kawasaki è rappresentata sostanzialmente da terapie con immunoglobuline ad alte dosi, associate ad aspirina e, in casi selezionati, si utilizzano anche steroidi, cortisone o farmaci biologici. La cura cardine è quella con immunoglobuline”. 

Si tratta di terapie che è possibile somministrare solo nei centri specializzati?

“In realtà, no. Ormai la diagnosi è fatta anche nei piccoli centri: un tempo mandavano tutti i pazienti nei grossi centri, ma adesso sono tutti preparati per questo tipo di terapia. Successivamente i pazienti si rivolgono ai centri più grandi per continuare il follow-up: qui al Bambino Gesù disponiamo di colleghi cardiologi dedicati e specializzati in questa sindrome, che difficilmente si possono trovare nei centri più piccoli, dove ci sono, generalmente, cardiologi che si occupano di adulti”. 

Il Bambino Gesù mantiene un collegamento con i centri più importanti del mondo, ma dà una mano anche ai medici che lavorano negli ospedali salentini, vero?

“Noi siamo sempre aperti alla collaborazione con tutti, assolutamente”. 

In chiusura, qual è il messaggio che vogliamo lanciare rispetto alla notizia che si sta diffondendo in questi giorni circa una correlazione fra Covid e sindrome di Kawasaki?

“Non ci sono evidenze scientifiche: non possiamo trasformare ipotesi in verità assolute”.

È verò però che la vasculite si verifica anche col covid-19...Bisognerà ancora approfondire. Intanto possiamo dire che questa nuova malattia causata dal SARS-CoV-2 necessità di un approccio multidisciplinare, vero?

“È assolutamente multidisciplinare perché ogni specialista può dare il suo contributo. Il covid non dà un quadro unico: può dare quadri polmonari, vasculite e altro, ma in realtà mancano ancora tanti tasselli. È per questo che il contributo di tutti è fondamentale”. 

Gaetano Gorgoni 

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